martedì 25 aprile 2006



Finalmente il momento è arrivato.
La mia breve ma intensa esistenza sta per terminare.
19 anni, condannata alla sedia elettrica per omicidio.
Colpevole?
Colpevolissima. L'ho ammazzato e non sono pentita.
Perché l'ho ammazzato?
Semplicemente perché era un uomo che si era innamorato di me.
Gli uomini, ho iniziato ad odiarli da quando avevo tredici anni.
Non fraintendetemi, non sono lesbica.
Mi piace scopare con gli uomini ed il problema è che è
l'unica cosa che mi piace fare con loro.
Tredicenne ero già completamente formata ed ero pure bella.
Me ne accorgevo guardandomi allo specchio e non avevo nulla da
invidiare a certe attrici o modelle che vedevo sui giornali.
Mio padre non mi faceva però uscire di casa.
Lui è stato il primo uomo che ho odiato.
Mi controllava a tal punto che doveva persino accompagnarmi a scuola .
In classe tutti mi sembravano molto più piccoli di me eppure era
lì il solo luogo in cui non venissi controllata.
Durante la ricreazione  mi avvicinavo al cancello comunicante con
la scuola superiore e li scambiavo due parole con i ragazzi più grandi.
Mi rendevo perfettamente conto che erano interessati solo
al mio aspetto, ma ne ero contenta.
Mi piaceva che mi facessero dei complimenti,
anche se spesso non troppo eleganti.

Quando stavo sola nella mia stanza amavo spogliarmi e
stare a contemplare la mia immagine riflessa allo specchio,
magari accarezzandomi il seno e insinuando le mie dita tra le gambe.
Un giorno però dimenticai di chiudere a chiave la porta.
Mio fratello,di cinque anni più grande di me,
entrò senza che me ne accorgessi.

Lui fu il secondo uomo che odiai.
Me lo ritrovai addosso senza riuscire a fare in tempo a difendermi.
Uscendo dalla stanza mi disse che se avessi
detto qualcosa mi avrebbe ammazzato.

Subii i suoi abusi fino all’età di diciotto anni.
Fu arrestato per violenza carnale, denunciato da una ragazzina,
 nostra vicina di casa.

L'arresto di mio fratello provocò un

terremoto in casa e i miei si separarono.
Mia madre andò via e anche io decisi di andarmene.
Trovai un lavoro come cameriera e un piccolo appartamento
da dividere con una mia collega.

Finalmente respirai la libertà, la possibilità di vivere “normalmente”.
Nel locale venivo spesso avvicinata da diversi uomini,
attratti dalla mia avvenenza.

Con molti di loro ho trascorso fantastiche notti di sesso.
Mi piaceva essere libera di stare con chi volevo, mi piaceva quella
vita che si contrapponeva a quella da reclusa
costretta a soddisfare le voglie di mio fratello.

Tutto sembrava andare per il meglio fino a quando accadde che uno di
questi uomini iniziò a provare qualcosa per me e purtroppo si innamorò.
Non avevo mai calcolato di potermi trovare in una simile situazione.
Mi mandava regali in continuazione, era sempre nel locale.
Sentivo di essere nuovamente controllata.

Gli chiesi più volte, prima in maniera gentile,
 poi diventando anche sgradevole,

di smetterla,urlandogli talvolta che non ero affatto
interessata a creare un legame con qualcuno.

Ma non servì a nulla.
Non potevo tornare indietro. Nessun uomo poteva
avere il diritto di controllare la mia vita

Decisi allora, senza esitare, di ucciderlo.
Un giorno gli dissi di scusarmi per le volte precedenti,
che stavo passando un brutto periodo, ecc. ecc.

Accettai infine un invito a casa sua.
Nascosi un coltello,

il più appuntito che fossi riuscita a trovare, nella borsa.
Sarebbe venuto a prendermi al locale.
Mi portò a casa.
Li mi offrì da bere e rimanemmo a parlare per un po'.
Cercai di essere disinvolta quanto più potessi e ad un
certo punto decisi di fare io la prima mossa.

Cominciai a baciarlo.
Lui si lasciò subito trasportare e cominciò a spogliarmi.
Mi condusse nella sua camera senza rendersi conto che con me,
portavo la borsa che poggiai al lato del letto.
Fu una scopata eccezionale, me la sono goduta fino in fondo,
fino a quando lui si girò dall'altro lato e senza guardarmi disse:
“Rimani a vivere con me?”
Non volevo più sentire una parola.

Feci scivolare la mano dentro la borsa, 
afferrai il coltello e lo colpii con forza al petto
 mentre lui attendeva ancora la mia risposta.

Non so quante volte ancora affondai la lama.
Non ebbe in tempo di dire nulla.
Fu sicuramente il primo colpo ad essere mortale.

Nella fretta di rivestirmi, prendere le mie cose, fuggire,
ignorai il coltello, ancora piantato nello stomaco del mio “innamorato”.
Non ci misero molto a risalire a me;molta gente mi aveva vista salire
sulla sua auto e le impronte digitali hanno fatto il resto.
Processo, sentenza, ed eccomi qua,
gambe e braccia serrate con cinghie in pelle

al freddo metallo di questa sedia.
Ecco, questa è la mia breve ma intensa esistenza,
quella di una donna che amava gli uomini per il piacere che sapevano
dare al suo corpo ma odiava gli uomini che la volevano
imprigionare e tenerla solo per se stessi.



CLICK!





1 commento:

  1. Questo post è un pugno nello stomaco! Una storia di abusi, di odio, di trasgressioni, con un epilogo tragico. Chi potrà ormai convincere questa ragazza che chi ci ama non s'impadronisce della nostra libertà, ma le conferisce senso e completezza???

    Un caro abbraccio

    Silvana

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