domenica 6 settembre 2015

Da batterista mancato a scrittore

Chris Stewart è stato il primissimo batterista dei Genesis. La sua vita ha preso una direzione totalmente diversa da quella dei suoi compagni di scuola. Ad un certo punto decide di andare a vivere con la famiglia in campagna in Spagna e diventa scrittore di medio successo. Nel suo secondo libro "Un pappagallo sull'albero del pepe", in un passo racconta la sua breve avventura coi Genesis, che vi riporto integralmente.
"Nella classe avanti alla mia a scuola c'era un ragazzo che si chiamava Gabriel, che suonava la batteria in un gruppo jazz, i League of Gentlmen. Aveva una batteria vecchio stile con delle pelli allentate che facevano <<ump>> quando ci battevi sopra. Un paio di volte, quando non aveva niente da fare, mi aveva fatto vedere come potevo fare per adattare la mia tecnica <<militare>> alla ritmica jazz, usando i pedali, i piatti e un po' di ritmi sincopati.
La ritmica jazz mi colpì al cuore. Ne rimasi incantato fin da subito e iniziai a passare il tempo con tutti quelli che suonavano – a scuola c'erano cinque o sei gruppi – mettendomi alla batteria non appena facevano una pausa. Ero in uno stato tale che la sola vista di una batteria mi faceva star male. Abbandonai del tutto la chitarra per questa nuova ossessione e iniziai ad esercitarmi giorno e notte.
Il mio mentore, Gabriel, nel frattempo, aveva iniziato a cantare e suonare il flauto nel suo gruppo. Quando suonava il flauto, ovviamente, aveva bisogno delle mani libere, perciò mi chiese di sostituirlo alla batteria. Era un invito in paradiso e chiaramente accettai al volo. Suonavamo soul e R'n'B, le cose che Gabriel preferiva: When a Man Loves a Woman, Knock on Wood, Dancing in the Street, Otis Redding, Percy Sledge, Wilson Pickett. Suonavamo alle funzioni della scuola e alle feste durante le vacanze e in un modo o nell'altro ci guadagnammo la fama del miglior gruppo della scuola. A volte prendevamo qualche melodia dal libro degli inni sacri e forse è per questo che col tempo Gabriel ci ribattezzò Genesis.
Sarebbe finita lì se l'intraprendente Gabriel non avesse spedito una nostra cassetta a Jonathan King, tipo ambizioso che aveva frequentato la nostra scuola qualche anno prima e aveva portato al primo posto in classifica una brutta canzone pop intitolata Everyone's Gone to the Moon. Avendo capito, visto che era meglio, di non essere certo una popstar, King aveva iniziato a crearsi una certa fama come produttore musicale. Aveva ascoltato la cassetta dei Genesis e per qualche misterioso motivo che nessuno finora ha mai compreso, aveva deciso che le nostre canzoni pretenziose e adolescenziali avevano qualcosa di buono che ci poteva far sfondare in classifica.
King ci organizzò una session di registrazione in una sala d'incisione con le pareti coperte di scatole vuote di uova vicino a Tottenham Cout Road e il nostro gruppo si recò a Londra con l'aria incredula, per incidere tre o quattro dei nostri pezzi. Non erano certo dei successi pop – e non erano neanche un granché, a dire il vero – ma ne venne tratto un singolo su cui c'era la canzone più memorabile, Silent Sun. Vendette circa cento copie. Ci sarebbe voluto ancora un bel po', a quanto pareva, prima che potessi rivaleggiare con Cliff.
I Genesis, però, erano un gruppo determinato, e continuarono la loro carriera musicale. Il mio ruolo nella loro storia, però, era quasi concluso. Feci un po' di facce corrucciate per qualche foto pubblicitaria e poi, vista l'insistenza dei miei genitori, tornai a scuola. Gli altri, i cui genitori avevano una visione più moderna della musica leggera come professione, lasciarono la scuola e si prepararono ad incidere un disco. Avevano bisogno di un batterista capace perciò io venni scaricato.
Fu una buona scelta da parte loro – non ero granché come batterista – e non sarei mai diventato Phil Collins. Ma all'epoca rimasi distrutto: mi sentivo male quasi come quando avevo perso Eve. Ma poi Peter Gabriel venne da me con un assegno che ammontava alla somma esorbitante di trecento sterline. Jomathan King, a quanto pareva, voleva che tutto fosse appianato e mi fece firmare un pezzo di carta che sistemava eventuali questioni future sui diritti delle nostre incisioni.
Quasi non credevo alla mia buona stella. Quella somma era una fortuna."