Chris Stewart è stato il primissimo batterista dei Genesis. La sua
vita ha preso una direzione totalmente diversa da quella dei suoi
compagni di scuola. Ad un certo punto decide di andare a vivere con la
famiglia in campagna in Spagna e diventa scrittore di medio successo.
Nel suo secondo libro "Un pappagallo sull'albero del pepe", in un passo
racconta la sua breve avventura coi Genesis, che vi riporto
integralmente.
"Nella classe avanti alla mia a scuola c'era un
ragazzo che si chiamava Gabriel, che suonava la batteria in un gruppo
jazz, i League of Gentlmen. Aveva una batteria vecchio stile con delle
pelli allentate che facevano <<ump>> quando ci battevi
sopra. Un paio di volte, quando non aveva niente da fare, mi aveva fatto
vedere come potevo fare per adattare la mia tecnica
<<militare>> alla ritmica jazz, usando i pedali, i piatti e
un po' di ritmi sincopati.
La ritmica jazz mi colpì al cuore. Ne
rimasi incantato fin da subito e iniziai a passare il tempo con tutti
quelli che suonavano – a scuola c'erano cinque o sei gruppi – mettendomi
alla batteria non appena facevano una pausa. Ero in uno stato tale che
la sola vista di una batteria mi faceva star male. Abbandonai del tutto
la chitarra per questa nuova ossessione e iniziai ad esercitarmi giorno e
notte.
Il mio mentore, Gabriel, nel frattempo, aveva iniziato a
cantare e suonare il flauto nel suo gruppo. Quando suonava il flauto,
ovviamente, aveva bisogno delle mani libere, perciò mi chiese di
sostituirlo alla batteria. Era un invito in paradiso e chiaramente
accettai al volo. Suonavamo soul e R'n'B, le cose che Gabriel preferiva:
When a Man Loves a Woman, Knock on Wood, Dancing in the Street, Otis
Redding, Percy Sledge, Wilson Pickett. Suonavamo alle funzioni della
scuola e alle feste durante le vacanze e in un modo o nell'altro ci
guadagnammo la fama del miglior gruppo della scuola. A volte prendevamo
qualche melodia dal libro degli inni sacri e forse è per questo che col
tempo Gabriel ci ribattezzò Genesis.
Sarebbe finita lì se
l'intraprendente Gabriel non avesse spedito una nostra cassetta a
Jonathan King, tipo ambizioso che aveva frequentato la nostra scuola
qualche anno prima e aveva portato al primo posto in classifica una
brutta canzone pop intitolata Everyone's Gone to the Moon. Avendo
capito, visto che era meglio, di non essere certo una popstar, King
aveva iniziato a crearsi una certa fama come produttore musicale. Aveva
ascoltato la cassetta dei Genesis e per qualche misterioso motivo che
nessuno finora ha mai compreso, aveva deciso che le nostre canzoni
pretenziose e adolescenziali avevano qualcosa di buono che ci poteva far
sfondare in classifica.
King ci organizzò una session di
registrazione in una sala d'incisione con le pareti coperte di scatole
vuote di uova vicino a Tottenham Cout Road e il nostro gruppo si recò a
Londra con l'aria incredula, per incidere tre o quattro dei nostri
pezzi. Non erano certo dei successi pop – e non erano neanche un
granché, a dire il vero – ma ne venne tratto un singolo su cui c'era la
canzone più memorabile, Silent Sun. Vendette circa cento copie. Ci
sarebbe voluto ancora un bel po', a quanto pareva, prima che potessi
rivaleggiare con Cliff.
I Genesis, però, erano un gruppo
determinato, e continuarono la loro carriera musicale. Il mio ruolo
nella loro storia, però, era quasi concluso. Feci un po' di facce
corrucciate per qualche foto pubblicitaria e poi, vista l'insistenza dei
miei genitori, tornai a scuola. Gli altri, i cui genitori avevano una
visione più moderna della musica leggera come professione, lasciarono la
scuola e si prepararono ad incidere un disco. Avevano bisogno di un
batterista capace perciò io venni scaricato.
Fu una buona scelta da
parte loro – non ero granché come batterista – e non sarei mai
diventato Phil Collins. Ma all'epoca rimasi distrutto: mi sentivo male
quasi come quando avevo perso Eve. Ma poi Peter Gabriel venne da me con
un assegno che ammontava alla somma esorbitante di trecento sterline.
Jomathan King, a quanto pareva, voleva che tutto fosse appianato e mi
fece firmare un pezzo di carta che sistemava eventuali questioni future
sui diritti delle nostre incisioni.
Quasi non credevo alla mia buona stella. Quella somma era una fortuna."